Il sentiment delle aziende italiane: segnali di fiducia
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Che aria tira in Italia? Le aziende sono soddisfatte di come stanno andando le cose? Come andranno i prossimi mesi? Lo abbiamo chiesto a 636 manager e imprenditori con la prima rilevazione del "Business Index", l'indicatore di sentiment delle aziende italiane sviluppato dal team Guia Pirotti, Nicola Misani e Paola Varacca Capello di SDA Bocconi*. La sensazione generale è quella di un cauto ottimismo, in cui si crede ancora possibile fare impresa in Italia e in cui è la situazione politica – non quella di business - a creare le maggiori perplessità per il futuro. Un po’ diversa la situazione del settore moda, a cui è stato dedicato un approfondimento specifico. Gli addetti al settore si considerano abili nel presidiare stile, creatività e qualità, ma esprimono un giudizio negativo sulla domanda interna. Vediamo in dettaglio come è stato costruito l’indice e quali sono stati i principali risultati dell’indagine.
Come viene misurato l'indice
L’indice. L’indice è stato calcolato elaborando le risposte di un breve questionario volto a mappare e misurare il grado di fiducia di imprenditori e manager circa lo stato di salute delle aziende, sia nel presente, sia per i sei mesi successivi. Le domande principali riguardavano la situazione competitiva, la propensione ai nuovi investimenti e la disponibilità ad assumere nuovo personale. Altre domande approfondivano il contesto macro-economico e politico italiano. Il focus sulla moda, in quanto settore cruciale per il Made in Italy, è stato realizzato con un contributo dell'associazione di settore Sistema Moda Italia (SMI).
Il sentiment, misurato nell’arco di un trimestre, da ottobre a dicembre 2014 con proiezione nei primi mesi del 2015, è stato costruito tramite un indicatore sintetico che può assumere valori compresi tra 0 (completo pessimismo) e 200 (completo ottimismo); 100 rappresenta la soglia dell'ottimismo.
Un cauto ottimismo. In Italia c'è ancora spazio per un cauto ottimismo da parte delle imprese. Il valore dell’indice in questa prima rilevazione è 103,83, che indica un prudente sbilanciamento verso l’ottimismo.
I risultati: le aziende italiane
E' ancora possibile fare business in Italia. Il dato incoraggiante è quello che vede il 66% dei manager e imprenditori italiani dichiarare che fare impresa in Italia è ancora possibile. Il 71% del campione non ha intenzione di delocalizzare tutte o parte delle sue attività all’estero. La diffusione di un fenomeno come il reshoring lo dimostra ampiamente.
La preoccupazione più grande. La preoccupazione più grande non ha a che fare con quanto avviene all'interno delle aziende. Oltre il 60% del campione intervistato dichiara che i maggiori vincoli e limiti per il futuro del business derivano dal macro contesto, da una situazione politica vissuta come fonte di incertezza e non come occasione per la risoluzione di problemi concreti.
Le piccole/medie imprese sono più ottimiste. Rispetto ad una prospettiva dimensionale, le PMI (meno di 250 dipendenti) registrano un sentiment più alto, pari a 106,76, contro il 100,89 delle imprese più grandi. Il dato pare confermare una superiore flessibilità e capacità di reazione delle PMI italiane in un ambiente avverso e segnato da incertezze. Ciò è ribadito da una maggiore propensione di queste ultime ad investimenti (sentiment 127,36, contro 114,47 delle grandi imprese) e a nuove assunzioni (105,97 contro 94,65). Inoltre il 67,5% delle PMI dichiara che è ancora possibile fare business in Italia (contro il 64,9% delle imprese più grandi) e solo il 20,1% progetta di portare la produzione all’estero (37,5% per le imprese più grandi). Fra le figure organizzative, gli imprenditori sono i più ottimisti (113,65), contro una media di 102,21 per i manager.
I servizi vedono rosa. Se si guarda alla scomposizione settoriale, il sentiment è più alto nei servizi (110,78) che nel manifatturiero (100,54). Nonostante la maggiore dipendenza delle aziende dei servizi dalla domanda nazionale, questi settori potrebbero essere visti come più protetti dalla competizione e caratterizzati da maggiore stabilità. Una scomposizione più dettagliata indica che le utilities registrano il massimo sentiment (122,86), seguite dagli altri servizi (112,37) e dal settore automobilistico e dall’industria pesante in genere (105,89). Lievemente sopra il 100 anche il valore delle costruzioni (101,69). L'indice è sotto 100 per tutti gli altri settori manifatturieri, oltre che per le aziende del settore pubblico o non-profit (94,23) e per le banche e i servizi finanziari (92,42).
La prospettiva delle aziende del fashion
L’approfondimento sul sistema della moda (tessile-abbigliamento, scarpe e pelletteria, accessori), che ha riguardato 167 aziende, vede un sentiment di poco superiore al 100 (100,37), ma rivela sensazioni molto negative sulla domanda interna, con un valore di solo 16,77 per l’oggi e di 59,04 per la proiezione a 6 mesi. Migliore, ma non entusiasta, il giudizio sulla domanda dall’estero: 91,52 oggi e 116,97 a sei mesi.
Le risposte rivelano, inoltre, che le aziende della moda ritengono di presidiare con successo i valori tradizionali dello stile, della creatività e della qualità (sentiment di 119,51), mentre ammettono debolezze nei sistemi manageriali (53,01) e nella disponibilità di manodopera qualificata (55,28). Fra le richieste nei confronti dello Stato, quelle più diffuse sono l’abbassamento delle tasse (indicate fra le due principali priorità dal 62,3% delle aziende), la lotta alla contraffazione (36,5%), lo snellimento della burocrazia (31,7%). E’ invece ritenuto poco importante il sostegno pubblico alle esportazioni (8,4%).
Fra le strategie di crescita, le imprese della moda prediligono la crescita organica (indicata dal 49,3% del campione) e le alleanze (44,4%), che minimizzano il rischio di perdita del controllo della proprietà. Vi è resistenza, invece, verso le ipotesi di vendita a grandi gruppi (15,3%) e la quotazione in Borsa (20,8%). Tra i temi strategici emergenti si nota una forte attenzione verso l’e-commerce e la gestione del prodotto.
*Si ringraziano l'Area Strategia e Imprenditorialità e la CDR - Claudio Dematté Research di SDA Bocconi School of Management per il supporto all'iniziativa.

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